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Lavoriamo per vivere, non viviamo per lavorare

In un mondo che corre senza sosta, spesso dimentichiamo una verità fondamentale: il lavoro è uno strumento per vivere, non il fine ultimo della nostra esistenza. Papa Francesco, con la sua consueta saggezza, ci ricorda l’importanza di fermarci, ricaricarci e dedicare tempo alle cose che contano davvero.

Durante un discorso alla Curia Romana il 22 dicembre 2014, il Pontefice disse:
“Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a ‘riposarsi un po’’ (cfr Mc 6,31), perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica.”

E ancora, durante l’udienza generale del 5 settembre 2018, il Papa affermò:
“La domenica è la giornata per fare pace con la vita, dicendo: la vita è preziosa; non è facile, a volte è dolorosa, ma è preziosa.”

Queste parole ci invitano a riflettere sul valore del riposo e sulla necessità di riconquistare un equilibrio tra lavoro e vita personale. Ma nella società moderna, questa idea sembra diventare sempre più una chimera, specie per chi è intrappolato in contesti lavorativi che premiano non la qualità del lavoro, ma la quantità di ore trascorse seduti su una sedia.

I KPI della sedia: il paradosso della produttività

Viviamo in un’epoca in cui il successo professionale viene spesso misurato con parametri assurdi. Non importa se hai raggiunto i tuoi obiettivi, consegnato progetti nei tempi o risolto problemi critici: per molti manager o imprenditori sei “bravo” solo se rimani in ufficio fino a tarda sera. Non importa neanche che tu stia solo fingendo di lavorare perché ormai la giornata è finita e non hai più nulla di utile da fare.

Ci sono aziende in cui il KPI più importante sembra essere il tempo passato seduto sulla sedia. Non conta se ci sia o meno una visione strategica, una pianificazione chiara o una direzione concreta. Conta solo la tua presenza fisica, perché per alcuni manager – spesso incompetenti – l’obbedienza cieca e la disponibilità a sacrificare tutto, anche il tuo benessere, sono l’unico metro di giudizio.

E così, il tempo diventa una prigione. Pianificazione? Zero. Obiettivi chiari? Non pervenuti. Visione strategica? Un miraggio. E quando la strategia manca, si finisce per compensare con la retorica vuota del “dobbiamo fare più sacrifici”, che altro non è che un modo elegante per dire: “Resta in ufficio a fingere di lavorare finché non vado via io.”

Un invito al cambiamento

La verità, però, è che questa mentalità è controproducente. Un dipendente non è una macchina e non è il suo tempo sulla sedia a determinare il valore che porta all’azienda. I KPI reali dovrebbero basarsi su obiettivi raggiunti, qualità del lavoro e impatto concreto, non sulla capacità di rimanere sveglio fino a tardi per fare presenza.

Invece di imporre turni massacranti senza un perché, i manager e gli imprenditori dovrebbero imparare a pianificare, delegare e, soprattutto, avere una visione chiara. Un ambiente lavorativo sano è quello in cui i dipendenti sono motivati, non schiacciati dalla pressione inutile. È quello in cui il riposo viene visto come una parte integrante della produttività, non come una debolezza.

Il valore del tempo libero

Papa Francesco ci invita a vivere una vita che non sia schiacciata dal peso del lavoro. Ci invita a fare pace con la vita, a dedicarci alle cose che contano davvero: la famiglia, gli affetti, il tempo per sé stessi. Non è un lusso, ma una necessità. E forse, se più manager ascoltassero queste parole, scoprirebbero che i loro team sarebbero più produttivi, più motivati e, soprattutto, più umani.

Il problema, purtroppo, è che il cambiamento richiede competenza e coraggio, due qualità che spesso scarseggiano in chi gestisce le persone. Ma per chi sa guardare oltre l’apparenza, c’è una grande opportunità: costruire un modello di lavoro basato sul rispetto, sull’equilibrio e su una vera leadership. Perché lavoriamo per vivere, non viviamo per lavorare. E chi non lo capisce, forse, dovrebbe sedersi a riflettere… magari lontano dalla solita sedia.

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