Nel mondo dello sviluppo software moderno, la gestione della complessità e l’aderenza a principi solidi di progettazione rappresentano fattori determinanti per garantire la qualità, la manutenibilità e la scalabilità delle soluzioni. Per chi lavora quotidianamente su sistemi enterprise, microservizi o applicazioni mission-critical su piattaforma .NET, adottare una Clean Architecture non è soltanto una scelta tecnica, ma una strategia per costruire software robusto, testabile e indipendente dagli strumenti e dalle tecnologie esterne.
Il cuore della Clean Architecture ruota attorno a un concetto semplice ma potente: separare le responsabilità in cerchi concentrici, in cui le dipendenze fluiscono sempre verso il centro. Al centro si trovano le regole di business, immutabili e indipendenti. Più ci si allontana, più ci si avvicina ai dettagli tecnici e alle infrastrutture, che possono cambiare senza influenzare il nucleo dell’applicazione.
La suddivisione tipica include:
Domain Layer – Contiene le entità e le interfacce che esprimono la logica del dominio. È il cuore dell’applicazione, immune da framework, database o logiche di interfaccia. È qui che si definisce ciò che il sistema “è” e come “pensa”.
Application Layer – Ospita i casi d’uso (use case) e le porte (input/output). Qui vivono le orchestrazioni dei flussi applicativi, le validazioni, le interazioni tra entità e la definizione dei servizi astratti. L’application layer conosce il dominio ma non viceversa. È interamente testabile in isolamento.
Infrastructure Layer – Implementa le dipendenze esterne: database, servizi REST, sistemi di file storage, logging, autenticazione. Fornisce le implementazioni concrete delle interfacce definite nei livelli superiori. È il livello dove si utilizzano Entity Framework, Serilog, Redis, SQL Server, ecc., ma senza che questi contaminino la logica applicativa.
Presentation Layer – Espone i dati all’esterno tramite API, UI o qualsiasi interfaccia utente. In ambito .NET, può essere rappresentato da un progetto ASP.NET Core che gestisce routing, validazione e serializzazione. Comunica con l’application layer attraverso comandi o DTO, spesso tramite pattern come MediatR o Controller tradizionali.

Adottare la Clean Architecture significa invertire le dipendenze: è il codice di business a chiamare quello tecnico, mai il contrario. Questo approccio favorisce la sostituibilità dei dettagli, l’indipendenza dai framework e la possibilità di testare ogni singolo livello con precisione chirurgica.
Nel lavoro quotidiano, questo modello consente di affrontare evoluzioni del software con maggiore serenità: se cambia il database, si sostituisce l’implementazione del repository; se si desidera passare da un’API REST a una gRPC, si lavora solo nel layer esterno. Le regole di business rimangono stabili, testate, integre.
Clean Architecture è particolarmente efficace nei contesti dove il software è destinato a crescere nel tempo, deve essere mantenuto da team diversi o richiede frequente adattabilità. È una scelta strategica per progetti longevi, che mira alla riduzione del debito tecnico, alla leggibilità del codice e alla semplificazione dei test unitari e d’integrazione.
Un ulteriore vantaggio consiste nella modularità: la struttura a livelli consente di suddividere il codice in più progetti o assembly, favorendo il riuso, l’iniezione delle dipendenze e la coerenza tra i team.
In conclusione, adottare la Clean Architecture nella professione di sviluppatore significa accettare una disciplina progettuale che separa le responsabilità in modo netto, isola il dominio, protegge la logica di business e rende il software più solido, testabile e flessibile. Non è solo una questione di pattern, ma una filosofia di sviluppo che pone al centro la qualità, l’evoluzione e la sostenibilità del codice.
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